Le molte lezioni del voto francese.
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14 dicembre 2015


Di Giorgio Aimetti



I due  turni elettorali del complesso e impietoso sistema vigente in Francia sono bastati per dare di quel paese un'immagine duplice e contraddittoria. Il mistero per chi non è avvezzo alle cose d'oltralpe consiste nel vedere che il Fronte Nazionale “vincitore” di una settimana fa, ha riportato una sconfitta su tutti i fronti nel secondo appuntamento con le urne.
Si è puntato l'accento sul forte aumento della partecipazione al voto (un fenomeno che in Italia non avviene mai nei casi di ballottaggio) quasi che il partito di Le Pen sia stato respinto dall'onda della “riserva della repubblica” o dal pentimento di tanti votanti che avrebbero cambiato parere grazie alle ultime parole d'ordine pronunciate dai leader dei maggiori partiti tradizionali, quelli battuti al primo turno.
Le cose non stanno proprio così. Fuor di dubbio ha prevalso la “conventio ad escludendum” che vige in Francia nei confronti della destra più estrema, cosicché i socialisti sono stati portati a preferire i candidati della destra moderata a quelli che si ispirano alla xenofobia, all'antisemitismo, al razzismo o addirittura alla tradizione controrivoluzionaria.  
Ma non è vero che Marine Le Pen abbia perso voti, né in assoluto, né in percentuale: il fronte nazionale è stato battuto non perché, passata l'onda emotiva degli attentati di Parigi, i cittadini elettori siano tornati a votare come prima, ma perché quel partito non ha alcuna capacità di coalizione con altre forze politiche (e quella più affine, la destra di Sarkozy, gli è addirittura la concorrente più forte e accanita).
Così il successo di una settimana fa, troppo esaltato da Salvini e dai media, si è rivelato effimero anche se il Front National ha addirittura guadagnato qualche consenso nell'elezione di ballottaggio.
Il problema del voto di protesta contro i partiti tradizionali e la politica che essi si trovano ad interpretare resta però inalterato: resta la paura per gli stranieri che stringe al cuore la gente comune, restano le conseguenze della crisi che tolgono le speranze a una generazione, crescono i localismi,  resta l'incapacità dei maestri di pensiero e dei leader politici democratici di intercettare, educare e piegare le pulsioni irriflessive di tanti elettori francesi, ma non solo francesi.
Tra poco si voterà in Spagna e nel 2017 in Germania, e si vedrà allora il senso di questi timori. Quando si voterà in Italia, già esistono forze pronte a interpretare, a destra come a sinistra (ma chissà se poi è sinistra...), i sentimenti che hanno gonfiato le vele di madame Le Pen. Il fatto è che da noi non esiste, né nella cultura, né nell'informazione, né nel pensare della gente (e forse neppure in vari segmenti dello Stato) quel sentimento trasversale di rispetto delle istituzioni che, almeno fino ad ora, ha protetto la Francia da avventure temibili.