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La musica è vita

Ho ventun’anni, e da ormai una dozzina mi dedico allo studio della musica. Certo vien da chiedersi: «Perché?». È una domanda che io stesso mi son posto quando finii la prima lezione di pianoforte senza sapere assolutamente nulla (o quasi) in più rispetto a prima. Lo studio di uno strumento mi era stato prospettato come una delle attività più interessanti, belle e divertenti che si potessero praticare; ma per un bambino di nove anni - sicuramente più predisposto ad ascoltare il richiamo dei giardini e delle giostre, piuttosto che quello d’un insegnante che lo richiama al lavoro sulla tastiera - quella prima ora di lezione si equiparava ad una vera e propria riduzione in cattività. La grande passione di quel primo insegnante, però, già aveva cominciato ad infiltrarsi prepotentemente nell’animo e a prendere residenza stabile da qualche parte nel cervello (un neuroscienziato saprebbe forse anche indicarci “l’indirizzo” di quella passione). Con l’andar del tempo (neanche troppo) gl’incontri coatti con gli insegnanti - che nel frattempo, avendo anche cominciato gli studi organistici, erano aumentati - divennero piacevoli ritrovi, occasioni proficue di scambio, momenti di profondo contatto umano.

La musica è vitaLa passione, quindi, il primo motore di tanto studio, della profusione di tanto impegno e tanta energia. Una fiamma non solo egoistica, ma anzi sempre e soprattutto caratterizzata dalla volontà di trasmettere quanto e a quanti più possibile la grandezza, la bellezza e l’intensità di un patrimonio culturale troppo spesso bistrattato, maltrattato e ucciso da un repertorio di larga diffusione di valore - ahinoi! - sempre minore: senza voler negare a nessuno il sacrosanto diritto di manifestare le proprie idee e la propria creatività, trovo un gran peccato (oltre che una vera vergogna) che secoli di storia, di ricerca e soprattutto di bellezza, vengano considerati ed etichettati come materia morta, prerogativa di pochi, oggetti da museo; sublimi prodotti che il genio e la sensibilità degli autori del passato hanno messo a nostra completa ed incondizionata disposizione.

È inutile nascondere una parte di sacrificio personale. Parecchie sono le ore necessarie allo studio e alla “sgrossatura” dei brani da eseguire; ancora di più quelle necessarie all’affinamento, a quel lavoro di lima che rende propria e personale un’esecuzione.
È inutile anche nascondere una certa difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. In periodi di così intensa crisi, non solo economica, ma soprattutto di interessi, le possibilità vanno sempre più riducendosi. Di qui la necessità di crearsi un’alternativa: personalmente ritengo impensabile, allo stato attuale delle cose, poter vivere d’arte (e forse anche solo “sopravvivere”): una formazione parallela si pone come valido complemento o alternativa a quella artistica e musicale.
Scriveva un autore, rimasto a noi anonimo:

“La Musica è vita.
La musica è il dizionario dei sogni,
con essa si può comunicare senza parlare,
volare senza avere ali
rivivere o andare avanti,
divertirsi o piangere.”

Mi piace pensare alla musica come la più alta forma di espressione umana, il primo mezzo di comunicazione universale, l’unica disciplina in cui l’uomo possa sentirsi veramente libero.
E per la libertà, non vale « durar la fatica »?


Luca Ronzitti

30 novembre 2010

 
 
 
     
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