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Punti di Vista

Gianni Oliva, storico e divulgatore

I suoi libri raccontano la storia d’Italia in modo accattivante. Gianni Oliva ha scelto di fare il divulgatore scientifico perché crede in questo tipo di comunicazione. Predilige una forma di storiografia che permetta al lettore di affrontare il libro come si fa con un romanzo.

Gianni Oliva1998-2009: un libro all’anno.
Scrivo un libro all’anno perché questo è il contratto fatto con la Mondadori e perché ho la fortuna di scrivere molto rapidamente. La storiografia e la saggistica hanno due alternative: o fare dei libri di ricerca oppure fare della divulgazione scientifica.
Gli storici anglosassoni, a differenza di quelli italiani, fanno libri di sintesi. Volume che si vendono nei supermercati. In Italia c’è molta più spocchia accademica e, spesso, la divulgazione la fanno i giornalisti. Il giornalismo è un altro mestiere. Affidare la divulgazione ai giornalisti vuol dire fare una divulgazione di eventi che colpiscono, clamorosi. Invece la divulgazione scientifica è una divulgazione che, in forma leggibile, deve ricostruire dei quadri di insieme complessi.

Studioso del ‘900. Che filoni segue nei suoi libri?
I miei libri sono sostanzialmente legati a tre filoni diversi.
Storia militare: “Storia degli alpini”, “Storia dei carabinieri”, “Soldati e ufficiali”. Volumi che nascono dall’intuizione che l’esercito è un’istituzione culturale. L’esercito esiste anche in tempo di pace, non solo in tempo di guerra. Quindi, mentre la storiografia militare è la storia di campagne militari, i miei libri cercano di studiare la storia militare da un punto di vista del sociale.
Storia dei Savoia, nata da una richiesta esplicita dell’editore che ha comportato una storia generale dei Savoia con due approfondimenti: uno su Umberto II, il Re di maggio; l’altro, sui Duchi d’Aosta.
Foibe, la linea resistenza, i criminali di guerra italiani. Sicuramente il filone più complesso, legato ai nodi irrisolti della storiografia nel periodo ‘43-‘48.

“Soldati e ufficiali”. Perché cita il libro “Cuore”?
Io credo che un libro, per essere piacevole, debba iniziare con un capitolo che crei suggestione. La pagina di De Amicis, che descrive la parata militare del giugno 1882, mi è sembrata appropriata perché racconta la reazione del pubblico al passaggio dei vari corpi. Non andavano a vedere le parate gli affezionati o i reduci ma ci andavano gli studenti della scuola dell’obbligo, i bambini delle elementari, gli universitari, le sartine, i frequentatori dei caffè torinesi del passeggio domenicale, ect… Infondo, l’esercito rappresentava l’unica forma di spettacolo laico a cui la gente potesse assistere. De Amicis coglie l’aspetto corale della sfilata.

Il servizio militare.
Fare il servizio militare ha voluto dire sempre un fastidio, una noia, un peso. E tutti credo, in tutte le epoche, quando si sono presentati alla visita medica hanno cercato di barare per farsi riformare. C’è un libro curioso, pubblicato nel 1875 da un tenente medico, che studia le forme fraudolente con cui i coscritti tentavano di evitare il servizio. I cittadini simulano l’epilessia, i montanari la sordità, altri arrivavano all’autolesionismo. Tutti hanno cercato di evitare il servizio militare. Quando però uno era fatto abile e quindi doveva affrontare il servizio allora doveva trovare delle motivazioni. Per questo è nata l’equazione fra la visita medica militare e la verifica della virilità. C’era un proverbio ce diceva: Chi non è buono per il Re non è buono neanche per la Regina.
L’esercito nel ‘800 serviva, soprattutto, per mantenere l’ordine pubblico. Sono stati i soldati, giovani di vent’anni, a reprimere i moti milanesi nel 1898 per le vicende legate al generale Bava Beccaris. E sono stati sempre i soldati a dover sgomberare i latifondi del sud occupati dai contadini.
Nonostante i disagi che comportava fare il militare a quel tempo c’era un aspetto positivo: la possibilità di conoscere l’Italia. Spesso nelle memorie, nelle testimonianze delle persone più anziane o nelle pagine di letteratura si trovano i racconti del giovane che parla della grande città che ha visto o del mare che per molti era una realtà sconosciuta.

Un passato da insegnante.
Io credo che l’insegnamento faccia capire una cosa essenziale: se vuoi comunicare con gli studenti devi essere assolutamente chiaro e suggestivo.

Barbara Aires

23 novembre 2010

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