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Alfredo Bini, reportage di vita sul Burkina Faso

Quando mi viene chiesto se davvero il fotogiornalismo ha la capacità di far entrare i lettori “dentro” la storia documentata, ricordo volentieri un aneddoto su un esperienza personale che mi permetterà di spiegare il mio punto di vista.

 Pochi mesi prima di partire per il Burkina Faso, dove avrei seguito alcune delle storie che dopo 2 anni mi avrebbero portato in Niger per seguire la rotta dei migranti, trasmisero in TV “Hotel Rwanda”, il film di Terry George che racconta i giorni del genocidio attraverso l’esperienza di Paul Rusesabagina, il direttore dell’Hotel “Milles collines” di Kigali.

Nelle scene conclusive del film il protagonista e la sua famiglia si mettono in salvo salendo a bordo di un camion insieme ad altre decine di persone. La scena è l’epilogo della storia e ricordo che ne rimasi colpito per tutto ciò che quell’episodio significava per i protagonisti reali della storia.

Pochi mesi dopo ero in Burkina e prima dell’alba, a bordo di una vecchia jeep alla quale mancavano 2 marce su 5, mi dirigevo verso il meraviglioso mercato di Gorom Gorom. In questo luogo del Sahel, le etnie nomadi del deserto e quelle stanziali della brusse, s’incontrano per commerciare animali, verdure, farina, riso e tutto quanto occorre per vivere. Provenivo da Dorì, una polverosa cittadina del Sahel, e viaggiavo con Aboubacar il mio jack ed alcuni compagni di viaggio occidentali che avevo caricato lungo la strada a causa di un guasto che aveva fermato il loro bus.
Per raggiungere Gorom avevamo guadato 3 fiumi. I primi 2 li facemmo appollaiati sul tetto della jeep mentre veniva spinta da una moltitudine di persone che, recandosi loro stesse al mercato si pagavano in questo modo il viaggio. Per superare il terzo fu necessario proseguire a piedi con l’acqua che arrivava ben oltre i fianchi. Dall’altra parte un Fiorino pickup che una volta doveva essere telonato, attendeva i passeggeri, che bagnati fradici percorrevano così gli ultimi 30 km.
 Quando salimmo sul mezzo, per il fatto che ero bianco, mi venne riservata la panca di ferro ai lati del cassone mentre gli altri passeggeri si sistemarono intorno e sopra di me aggrappandosi alla struttura che sorreggeva il telone. Alla fine quando partimmo, eravamo in 27. Pian piano la sensazione di bagnato dell’acqua fu sostituita dal sudore che sembrava sommarsi a quello degli altri viaggiatori ed ogni buca presa dall’auto faceva cadere polvere e sassi dalle scarpe dei passeggeri sopra di me. Arrivai a Gorom Gorom completamente terroso, ma l’emozione di poter fotografare in quel luogo, mi fece ben presto dimenticare tutto.

 Il viaggio di ritorno fu a bordo di un camion che trasportava alcuni sacchi di riso e farina, oltre che una ventina di persone e 5\6 capre. A metà dello stesso guado che al mattino attraversammo a piedi, l’autista accelerò troppo bruscamente ed il camion si mise di traverso, esponendo nel vuoto l’ultimo asse posteriore. La paura di ribaltarsi nell’acqua fu tale che il proprietario delle capre ne afferrò una mentre si teneva pronto a gettarsi dalla parte opposta a quella del camion. Fortunatamente l’autista riprese il controllo del mezzo, terminò il guado e noi potemmo risalire sulla jeep che ci stava aspettando. Calcolai che con un buon passo saremmo arrivati a Dorì prima del tramonto, felice di poter seguire i consigli di alcuni amici Burkinabé che si erano raccomandati di non transitare lungo quella strada durante le ore serali perché infestata da gruppi di banditi avvezzi nel derubare i mezzi carichi di merci che tornavano dal mercato.
Immediatamente dopo aver passato l’ultimo guado il cambio della jeep emise un rumore sordo lasciando in folle il motore. Nonostante i tentativi dell’autista di riparare il guasto rimanemmo bloccati proprio mentre faceva buio e non c’era possibilità di chiedere assistenza in città. Stava crescendo l’ansia per il fatto di trovarci bloccati in quella zona, quando in lontananza sentimmo il rumore del vecchio camion con il quale avevamo lasciato Gorom. Anche loro erano diretti a Dorì. Trasferimmo tutti i bagagli sul camion e salimmo sul cassone insieme ai nostri vecchi compagni di viaggio.
 Il tragitto invece che mezz’ora durò quasi due ore e quando giungemmo in città era già notte fonda. Per tornare nella locanda dove dormivamo io ed Aboubacar, trovammo un carretto tirato da un ciuco che non troppo convinto dava ascolto ad ragazzino scalzo di 8\9 anni. Stremati ed affamati andammo in camera e ricordo la sensazione meravigliosa provata quando entrai sotto la doccia. Un lusso che quasi nessuno ha a Dorì e Gorom.

Durante la cena riflettevamo sul fatto che nonostante le fatiche provate eravamo fortunati di poter terminare così la nostra giornata, con una doccia e una cena abbondante. Probabilmente molte delle persone che avevamo incontrato durante il viaggio in quello stesso momento stavamo mangiando delle poco appetitose paste collose di verdura e farina e avevano rimosso la polvere bagnandosi con secchi d’acqua. Ci aspettava un letto rialzato da terra con la zanzariera, mentre era verosimile che parecchi di loro stessero già dormendo sopra un tappeto polveroso adagiato sul pavimento in terra battuta della loro casa.

Ero nuovamente in Italia quando mi successe di rivedere nuovamente la scena conclusiva di Hotel Rwanda. Questa volta vedere il camion che partiva con il suo carico di umanità mi emozionò come la volta precedente, ma mi fece anche ricordare il caldo infernale sopportato sul Fiorino, il sudore appiccicoso che attirava tutta la polvere, gli insetti e le loro punture, il dolore che le lamiere provocavano alla schiena, la fame con il senso di spossatezza al nostro arrivo a Dorì e tutte le riflessioni che seguirono. Erano sensazioni che la prima volta non avevo provato, il film per quanto bello e toccante non me le aveva trasmesse.

Credo che difficilmente un reportage possa trasmettere queste sensazioni, così come non si riesce a far sentire l’odore di urina o l’umidità putrida di certi ospedali del 3° mondo o la sensazione di sudicio. Quindi alla domanda iniziale “se il fotogiornalismo riesca a far entrare i lettori “dentro” la storia rispondo che ci riesce in parte ma non del tutto e dipende anche da quanto il fotografo, il giornalista o il regista si spingono loro stessi dentro la storia.

 Penso che sia proprio questo l’aspetto affascinante del mestiere. Calandosi il più possibile nelle situazioni si provano sensazioni precluse a molti, emozioni che ti arricchiscono in prima persona. Non esistono scorciatoie. Per documentare qualcosa nel tentativo di restituire un’informazione almeno in parte veritiera, è necessario prendere la parte di chi si vuol documentare. Solo così si capiscono aspetti che dall’esterno potrebbero non svelarsi. Quest’approccio richiede un impegno psicologico che viene ancora prima di quello organizzativo ed è un aspetto che non termina nemmeno quando si è tornati a casa. Poco alla volta, infatti, le persone incontrate e le situazioni vissute cessano di essere percepite come esotiche e diventano parte di te, modificando irreversibilmente i tuoi punti di vista ed il tuo approccio alla vita. E’ proprio grazie a questo cambiamento che se si è fortunati si riescono a documentare aspetti meno evidenti di una storia e per la stessa ragione è stato fondamentale viaggiare con loro durante il reportage sulla rotta dei migranti in Niger.

Quel lavoro è nato dopo il viaggio in Burkina grazie ad una serie di coincidenze che mi hanno  portato ad approfondire le tematiche sull’immigrazione ed in particolare sui viaggi che i popoli dell’Africa occidentale intraprendono per raggiungere l’Europa. Viaggi che a volte finiscono con la morte. Arrivato a quel punto della mia carriera dovevo sviluppare un reportage che avesse un tema di rilievo per presentarmi ad alcuni giornali con i quali in futuro mi sarebbe piaciuto lavorare. Devo dire che nonostante le grosse difficoltà incontrate nella realizzazione a causa della rivolta Tuareg in atto nel paese, credo in parte di aver raggiunto qualche obiettivo che mi ero prefissato. Per gli altri, ci sto lavorando.


BBC
Reportage sui migranti 

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26 gennaio 2010

 
 
 
     
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