Luci e ombre sul lavoro dei saggi di Napolitano
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di Giorgio Aimetti - 13 aprile 2013

Gli esperti nominati dal Presidente Napolitano hanno concluso il loro lavoro con una serie di proposte che evidenziano da un canto che la fantasia dei sapienti fatica a superare quella dei politici e dall’altro che i problemi della cosa pubblica non si possono superare con la grillissima frase: “è semplice. Basta….”.

La riflessione sul finanziamento dei partiti è quanto di più sensato si sia sentito in questi ultimi tempi. Le forze politiche hanno bisogno di entrate certe, certificate e controllate. Meno imponenti di quelle della seconda repubblica, ma lontane dal far west della prima, quando i finanziamenti, forse meno ricchi venivano per vie traverse e poco pulite.

Il suggerimento di un Parlamento a camera unica invece pecca di quel semplicismo che prima citavamo. In tutto il mondo occidentale la regola è quella del bicameralismo. Magari imperfetto, con una assemblea che prevale sull’altra (in Francia, Inghilterra, Germania la camera alta, che prende rispettivamente il nome di Senato, Camera dei Lord o Bundesrat è meno importante dell’altra assemblea). Magari fondato su differenti criteri di rappresentanza (negli Stati Uniti, il Senato, potentissimo, si basa su un’elezione che dà rappresentatività ai diversi stati federati più che agli abitanti), ma comunque un bicameralismo che tempera le imprudenze decisionali che derivano da colpi di mano che possono avvenire in un sistema monocamerale (che è così più facilmente preda del trasformismo).

Il monocameralismo è storicamente il sistema dei paesi a regime comunista o è derivato da fenomeni  rivoluzionari. La Francia ha faticato a emendarsi da quell’assetto costituzionale dopo i 5 anni convulsi che hanno cambiato il mondo (quelli della rivoluzione del 1789). Ma si è dovuto passare attraverso due decenni di guerre Napoleoniche che hanno dissanguato il paese e l’Europa.

C’è indubbiamente rischio anche nel bicameralismo perfetto, per la dialettica fisiologica tra le due camere più ancora che per il rischio di differenti maggioranze all’interno di ciascuna di esse.

Tuttavia la dialettica è la base della democrazia. E se manca nel Parlamento, nasce nel paese anche per l'esondazione dei poteri di altri corpi dello Stato.

In questi giorni dopo i lunghi bracci di ferro intrapresi dal Csm, si è cimentata anche la Corte costituzionale, che sollecita il Parlamento ad adottare, secondo i suoi criteri (che nascono dall’evoluzione del pensiero giuridico e non dalla presenza di principi immutabili scritti in qualche fondamentale documento) provvedimenti che riguardano questioni specifiche, come quella delle unioni tra omosessuali, o aspetti della legge elettorale.

I saggi avrebbero piuttosto dovuto sfidare l’impopolarità suggerendo di fissare magari paletti sulle funzioni di un organismo che non è, non può e non deve essere una terza “camera” (perché non deriva il suo potere dal popolo). La Corte costituzionale è infatti scelta prevalentemente sulla base dell’appartenenza ad un corpo (la Costituzione parla della magistratura come di un ordine e si guarda bene dal definirla “potere”) e non è quindi una struttura democratica.

I paesi che si definiscono tali devono guardare con attenzione e rispetto quello che decidono quegli organismi. Ma devono essere al tempo stesso timorosi. Negli Stati Uniti fu una decisione della Corte suprema a mettere in movimento le passioni che portarono alla guerra di secessione.

 
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