Settimane sociali: famiglia, giovani e il mondo del lavoro
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di Dario Lindi - 28 settembre 2013

La questione educativa e l'occupazione sono due tra le emergenze più gravi che toccano il nostro Paese. Lo hanno ribadito i partecipanti alle Settimane sociali di Torino. Nel 1949 Simone Weil scriveva:“l’iniziativa e la responsabilità, il senso di essere utile sono bisogni vitali dell’anima”. Una delle conseguenze della disoccupazione è, infatti, quella di ledere la dignità dell’individuo. La mancanza del lavoro tocca lo spirito delle persone e incide, su di esse, in modo forte e a volte persino drammatico come testimoniano, purtroppo, i crescenti casi di suicidio tra i licenziati. Questo uno dei punti di partenza sulla riflessione fatta durante uno dei seminari svoltisi nell'ambito della manifestazione promossa dalla Chiesa italiana.

La mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, dicono le statistiche, sta provocando la preoccupante crescita degli “inattivi sociali”. Persone rassegnate e scoraggiate che non studiano, non lavorano e che non cercano, in alcun modo, un reinserimento nel mondo lavorativo. Dalle ultime rilevazioni Istat emerge come la disoccupazione giovanile è, al momento, del 40 per cento. Negli ultimi tre anni si sono persi quasi un milione di posti di lavoro tra gli under 35. Dati allarmanti che, situazione economica a parte, mettono in discussione da un lato, il sistema educativo e dall’altro il ruolo svolto dalle famiglie.

La Chiesa ricorda che l’ambiente familiare è il luogo dove si formano il carattere e la personalità dei bambini in età pre-scolare. Le capacità cognitive e non cognitive si sviluppano, infatti, in un’età compresa tra i tre e i dieci anni e determinano scelte di vita e percorsi scolastici futuri. Per questi motivi dovrebbero essere dedicati maggiori fondi alle famiglie svantaggiate a favore di un progetto che preveda una nuova ripartizione delle risorse. Intervenire con progetti mirati ad aiutare famiglie in difficoltà dal punto di vista economico, sociale e culturale permetterà, già nel medio periodo, di migliorare i livelli di scolarizzazione riducendo l’abbandono scolastico giovanile. Anche perché una famiglia con più strumenti di intervento sarà più consapevole e pronta ad accompagnare i giovani nel mondo del lavoro.

 
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