Per Renzi, promesse da mantenere e proteste da fronteggiare
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di Giorgio Aimetti - 18 febbraio 2014

Il sindaco di Firenze si appresta a diventare il più giovane presidente del consiglio d'Italia, promette di cambiare il paese in poche settimane (via il Senato, nuova legge elettorale, diminuire le tasse, dare lavoro ai giovani), ma già deve fare i conti con la protesta antica di artigiani e commercianti che sono calati a Roma in decine di migliaia. Vogliono una politica fiscale di favore e pongono problemi difficili da risolvere. Per il presidente incaricato, personaggio un po' guascone e con molta fiducia in sé, si profila subito la necessità di scegliere, perché la coperta è corta e l'Unione Europea, con la finanza internazionale, non sembra disposta ad allungarla.

Monti aveva provato a scaricare le difficoltà fiscali sui piccoli proprietari per mezzo dell'Imu, i comuni si sono messi sulla stessa strada con la Tares, alcuni parlamentari hanno mirato al bersaglio facile costituito da quei pensionati che godono di un trattamento appena superiore ai tremila euro lordi. Per assurdo si tratta della stessa categoria, dal momento che i piccoli proprietari di appartamenti sono tante volte proprio quei pensionati che a loro tempo avevano investito nel mattone.

Che cosa uscirà dal cappello del nuovo premier non si sa, i primi “rumori” lasciano intendere che non uscirà dal cammino indicato dai predecessori. Si vedrà. Certo Renzi è destinato a far discutere e dovrà tenersi pronto in ogni occasione a ricevere ciò che lui stesso ha riservato ad amici e nemici. Soprattutto agli amici.

Qualcuno lo descrive come una sorta di reincarnazione del giovane Fanfani. Noi, Fanfani lo abbiamo conosciuto da vecchio, e a parte certi scarti di carattere, facciamo fatica, se non nella parlata toscana, a ritrovare nel presidente incaricato, una sua replica. Può darsi che sia un bene, più probabilmente è un male, perché Fanfani fu un eccellente uomo di governo.

Per adesso tutte le promesse di fare in fretta, quelle che Renzi aveva accampato appena eletto segretario del Pd, sono state rinviate. Il suo primo atto concreto è stato invece quello di licenziare Letta e quell'atto di imperio non è stato accolto bene dalla gente. Gli ha alienato la simpatia di tanti suoi supporters: quelli interni al partito, e quelli dentro la finanza. I giornali che lo avevano esaltato, sono rimasti interdetti di fronte all'ondata di critiche che si sono riversate sul giovane leader che ora, si dice, farebbe una certa fatica a trovare persone di livello da mettere nei posti chiave del ministero. Attendiamo.

Intanto ha deciso di mantenere la segreteria del partito. I doppi incarichi, nella Dc, sono stati in genere forieri di repentini successi e clamorosi capitomboli: Fanfani e De Mita ne patirono le conseguenze. De Gasperi invece non fu mai segretario nazionale, e Moro lasciò quell'incarico nel momento in cui divenne capo del governo. Però Matteo Renzi non è democristiano.

 
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