Sessant'anni fa la scomparsa di Alcide De Gasperi.
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(19 agosto 1954)

La morte dello statista trentino, artefice della ricostruzione del Paese, quel giorno aveva colpito fortemente gli animi degli italiani e a lungo era stata commemorata con enfasi. In questi giorni, se si escludono le pagine culturali di molti dei maggiori quotidiani, quell'avvenimento è invece ricordato in tutta Italia con qualche convegno e qualche rimpianto da parte di quei partiti che, svanendo poco a poco, si sono a lungo chiamati eredi della Democrazia cristiana. Una sobrietà nella memoria che appare giustificata dalla natura schiva del personaggio, ma non certo dalla sua importanza storica. In tempi di riforme istituzionali quei toni misurati lasciano quasi trapelare una sorta di disagio verso un personaggio che aveva rimesso in piedi l'Italia con una politica di altissimo livello, pur nel rispetto degli avversari politici, del Parlamento e delle regole.
Non c'è stata in questi giorni alcuna rivendicazione della sua eredità da parte di uomini politici contemporanei (l'ultimo ad averla reclamata fu Berlusconi alcuni anni fa, e la vicenda lasciò francamente sconcertati storici e politici). Lo stesso premier Renzi (che pure aveva intitolato un suo libro “Tra De Gasperi e gli U2”), non ha voluto richiamare la figura politica più importante della politica italiana dai tempi dell'unità.
Il lascito dello statista trentino è infatti pesantissimo e da solo costituisce una sorta di ammonimento: l'Italia uscita dal fascismo era certo in condizioni infinitamente peggiori del paese provato dalla crisi di questi anni, eppure seppe recuperare credito internazionale e fu capace di rilanciare la sua economia in modo sorprendentemente rapido (dal 1945 al 1953 passarono otto  anni, solo due in più di quelli che ci dividono dalla crisi economica) e senza ricorrere a scorciatoie istituzionali in nome della governabilità.
De Gasperi non fu certo il creatore di una nuova forma di partito (la stessa Dc si consolidò dopo di lui e in modo diverso da come lui probabilmente avrebbe voluto), ma fu uno straordinario uomo di Stato, in grado di comprendere le necessità del paese meglio di chiunque altro e di realizzare concretamente i progetti formulati, grazie al contributo di una generazione di politici non improvvisata, ma nata dallo studio, dalla riflessione negli anni difficili e dalla lotta per la libertà.
Di De Gasperi si è scritto molto, talvolta con interpretazioni discutibili anche se autorevoli. Noi vogliamo ricordare l'ultimo libro, quello di Giuseppe Sangiorgi, (“De Gasperi. Uno studio”) che restituisce un'immagine molto oggettiva dello statista, un volume che la fondazione Donat-Cattin ha presentato il 9 giugno scorso.

 
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