di Giorgio Aimetti - 19 Maggio 2014
A meno di una settimana dalle elezioni europee (e da quelle per molte amministrazioni locali), sulla politica italiana e non solo si aggira lo spettro della protesta che assume aspetti talora esasperati, talora quelli di un ripiegamento sul nazionalismo più o meno isolazionista (dalla Gran Bretagna alla Spagna), talaltra di un ritorno a progetti autoritari e reazionari (come in Francia). Da noi l'insieme delle varie proteste si è sommata con evocazioni dell'Italia delle signorie se non quella dei piccoli comuni, con il desiderio improponibile di battere nuova moneta, con l'insulto o con terribili richiami a personaggi dell'epoca tra le due guerre che si sarebbero voluti dimenticare, tanti danni e tante sciagure hanno causato all'Europa e ai suoi cittadini. L'Europa, appunto, sembra la grande assente. I comunicatori di turno ci hanno inondati di proclami su tutto: dal malcostume, alla crisi economica; hanno puntato il dito sul lavoro che non c'è, senza spiegare come si potrebbe crearne di nuovo, ma anzi facendo di tutto per ridurlo (no Tav, no expo, no centrali al carbone, nucleari e chissà che altro). Nessuno ha posto in evidenza che l'Europa mercantile, quella che ha prevalso negli ultimi decenni, non bada ai valori forti della democrazia, della libertà di pensiero, del rispetto del prossimo, ma solo a un benessere economico che quando manca - è il nostro caso - genera la tendenza a ricostruire equilibri antichi e tende a ridistribuire il reddito in modo classista (più soldi ai ricchi, ceto medio appiattito in basso, spiccioli ai poveri). Nessuno sembra rendersi conto (a cominciare dai giornalisti) che l'Unione ha bisogno di una guida politica ricca di valori, che tenga a bada gli esperti, quelli che in genere falliscono alla prova dei fatti. Tra minacce e contumelie nessuno ha ricordato che ci sono emergenze continentali che bisogna fronteggiare: le nuove tensioni ad oriente, che impongono responsabilità gravi alla politica estera e alla difesa comune (mentre da noi si chiede la riduzione del progetto di rafforzamento delle forze armate) o l'emergenza immigrazione, diventata drammatica dopo la primavera islamica del nord Africa. E c'è il dovere di un riequilibrio di poteri nell'ambito del continente (meno Germania e più collegialità, verrebbe da chiedere) e all'interno del paese: con un ritorno in primo piano della politica rispetto ad altri poteri la cui prevalenza ha rappresentato negli ultimi vent'anni un elemento di debolezza e di crisi per il paese. L'alternativa è quella del trionfo dell'oligarchia o del Masaniello di turno. Ci sono ancora alcuni giorni per riflettere prima del voto. Speriamo che siano usati per il meglio.
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