di Giorgio Aimetti - 10 aprile 2014
Nella storia d'Italia, gli avvenimenti del 1969, con le loro lotte sindacali e con le conquiste in campo normativo (lo Statuto dei Lavoratori, prima tra tutte), rappresentano un esempio finora mai uguagliato di capacità di riformare lo Stato facendo incontrare gli interessi della gente comune, le sue lotte, e l'azione politica espressa nel Parlamento. Non stupisce dunque se l'autunno di quell'anno sia diventato un periodo storico particolarmente studiato dagli storici, soprattutto quelli di parte sindacale, come fanno Andrea Ciampani e Giancarlo Pellegrini, curatori del volume edito da Rubbettino. La presentazione fatta dall'Ismel a Torino, con la partecipazione di testimoni dell'epoca e l'intervento di Stefano Musso, presidente della Società Italiana di Storia del Lavoro, ha permesso di riflettere su uno degli aspetti, quello più prettamente sindacale, che contribuirono a rendere differenti i rapporti nel mondo del lavoro negli ultimi 45 anni. Ma non solo. Il professor Ciampani ha infatti illustrato anche il ruolo che i politici del momento, a cominciare dai ministri del Lavoro, e in particolare Donat-Cattin, hanno rivestito nell'occasione mostrando che c'era una classe politica capace di non lasciarsi sorprendere, malgrado i segni di una sua già evidente debolezza, dal rivolgimento sociale che stava verificandosi nelle piazze, nelle fabbriche e nelle università. Ne nacque uno sforzo riformatore che provenendo dal basso riuscì a dare risposte che cambiarono il paese. Fu un esempio importante - quello di allora - di come si possa ad un tempo interpretare l'anima dei cittadini e dare una risposta alle loro esigenze senza ricorrere a scorciatoie istituzionali che rischiano in ogni momento di deragliare con danno del sistema democratico. Credo sia bene ricordare, quasi a compimento del dibattito, un passo dell'intervento di Carlo Donat-Cattin alla Camera dei deputati, il 9 dicembre 1969. Sono parole che illustrano bene l'indirizzo riformatore proprio del primo centro sinistra, e spiegano in modo chiaro come l'azione di governo si fosse allora inserita nella strategia di cambiamento che i sindacati con le loro lotte avevano imposto al sistema Paese. Diceva il ministro del Lavoro: “Nonostante che qualche appunto sia venuto dalle file della maggioranza, debbo ripetere che la politica economica non subordina la politica sociale del Governo. E che non poniamo neppure su un piano di parità le due politiche, che non costituiscono dei settori distinti, ma si orientano, nell'ambito di una società democratica la quale persegue fini di sviluppo della democrazia e una politica di avanzamento sociale, nel senso che la politica economica non può che essere strumentale rispetto a quella sociale”.
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