Art. 18 e dintorni…
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di Giorgio Merlo

29 settembre 2014

Ormai è chiaro quasi a tutti. L’art.18 è importante ma è datato, com’è ovvio. Il mercato del lavoro è profondamente cambiato, la precarizzazione ha invaso le società progredite, la disoccupazione – soprattutto quella giovanile – cresce in modo esponenziale e il ruolo e la credibilità del sindacato è ai minimi storici. L’abolizione o la conservazione dell’art. 18, pertanto, centra poco con il rilancio dell’occupazione, la ripresa della competitività e la ripartenza del sistema-paese. Anzi, addirittura qualcuno parla di un “falso” tema che rientra poco o nulla nella ormai non più rinviabile riforma complessiva del mercato del lavoro nel nostro paese. E non solo perchè ce lo chiede l’Europa.
Detto questo, però,  – su cui qualsiasi riformista non può non convergere – non possiamo gettare alle ortiche il capitolo dei diritti del lavoratore, delle garanzie e delle tutele dei lavoratori. Di qualsiasi lavoratore, giovane o meno giovane che sia.
Lo Statuto dei lavoratori, l’ormai famosa legge 300, è stato votato dal Parlamento nel 1970. E’ ovvio che sono mutati tutti gli indicatori economici, il contesto sociale ed è cambiato in profondità lo stesso tessuto produttivo. Ma la difesa del principio non tramonta. I diritti del lavoratore, seppur coniugato con una indispensabile flessibilità in entrata e in uscita, non vanno in soffitta. Quella cultura, frutto della congiunzione della miglior cultura cattolico democratica, socialista e laica va rafforzata e non colpita ai fianchi.
Ed è proprio sulla riforma del mercato del lavoro che oggi possiamo sperimentare concretamente, la cifra riformista, democratica e costituzionale della politica italiana. Senza rivalse sindacali, crociate liberiste o rivendicazioni tardo ideologiche.


 
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