di Giorgio Aimetti - 21 gennaio 2014
La presentazione del libro di Valdo Spini, “La buona politica”, venerdì 17 presso la fondazione Donat-Cattin ha raccolto un pubblico vasto e interessato, stimolato da fatti politici prossimi a verificarsi e di fronte ai quali l’attenzione è crescente. L’incontro si è tenuto nei giorni della repentina svolta impressa agli avvenimenti istituzionali dall'incontro fra il nuovo leader del Pd, Matteo Renzi, e il vecchio leader del centro destra, Silvio Berlusconi.
La modifica della legge del voto, che è al centro dei colloqui tra i leader dei due schieramenti più forti, tende a colpire gli interessi delle formazioni politiche minori e di quella di Beppe Grillo che alle elezioni politiche recenti ha raccolto invece un largo consenso, mandando in soffitta lo schema bipartitico che secondo la maggioranza degli osservatori politici si stava affermando nel paese. E’ quindi una riforma che mira ad imporre una svolta bipolare a un paese che bipolare non è più e non è mai stato.
L'impressione che si coglie nell'aria, dopo le dure reazioni all'interno del Pd alla scelta del suo segretario, è che la modifica della legge elettorale non sarà così spedita come i suoi promotori contano.
La stessa “iniziativa a due” potrà avere risultati differenti da quelli che molti, soprattutto la grande stampa, acquiescente all’ipotesi di un modello di società che non esiste, si attendono. Entrambe le forze politiche che ruotavano intorno a Pd e Pdl infatti rischiano di perdere consensi e rafforzare chi è al di fuori di quel tipo di dialettica.
Per una visione distorta delle cose, il motivo dell’ennesima riforma del voto sarebbe giustificata dall’ingovernabilità del paese. In commentatori politici più autorevoli ad esempio puntano sull’ipotesi che i “partitini” vengano spazzati via. È una tentazione che mai De Gasperi o Moro avrebbero avuto, e che Donat-Cattin aveva esorcizzato benché appartenesse alla Dc, partito di solidissima maggioranza relativa.
Nel corso della seconda repubblica, l’instabilità che ha causato la caduta di un paio di governi Berlusconi e di altrettanti governi Prodi, non fu nelle piccole forze intermedie, ma nella eterogeneità e nella scarsa solidità dei grandi raggruppamenti: prima Berlusconi fu colpito dalla defezione della Lega, poi da quella di Fini, non certo da imboscate del Ppi, o dell’Udc che erano fin dall’inizio fuori del suo giro di alleanze. E Prodi dovette fare i conti soprattutto con la turbolenza interna al centro sinistra e con l’uscita dalla maggioranza dell’estrema sinistra.
Il rischio che corre Renzi, la cui lontananza dalla politica di lungo corso è un vantaggio, ma anche uno svantaggio, è di prevalere (se pure ciò avverrà) alla testa di uno schieramento poco omogeneo, pronto a rimandarlo a casa alla prima seria occasione.
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